Home arrow Notizie arrow Intervista a Duccio Trassinelli
Intervista a Duccio Trassinelli E-mail

D: Curiosamente, mentre siamo abituati a considerare Milano la città del design, viene spesso taciuto il ruolo che Firenze ha esercitato in modo diretto ed indiretto nell'evoluzione dell'industrial design. Nel capoluogo toscano, nella metà degli anni '50 nasce, curato da Pierluigi Spadolini, il primo corso a livello universitario di design con la dizione Progettazione Artistica per l'Industria; nel 1962 è istituito l'Isia (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche), con docenti dello spessore e competenza dello stesso Spadolini, Giovanni Klaus Koenig e Leonardo Benevolo. Tu hai incominciato a lavorare per aziende come Cassina, Flos, Sormani , prima ancora di terminare gli studi all'ISIA, come ti ha influenzato quell'ambiente?

R: L'ISIA ha influito indubbiamente in modo molto positivo data anche l'alta qualità dei docenti, ricordo anche Pierangelo Cetica e Ugo Saccardi . Gli stimoli primari erano di carattere culturale , dopo aver acquisito gli strumenti di base l'analisi era fondata su alcune finalità fondamentali : creare nuovi oggetti per uso quotidiano e non, sfruttando al massimo la creatività che le nuove tecnologie permettevano. Indubbiamente il corso di studi e l'ambiente mi hanno stimolato in ciò , oltre ad altre esperienze esterne di curiosità personale per la meccanica, principi di fisica elementare e per tutto ciò che apparentemente funzionava in modo strano. Gli studi e l'età hanno fatto il resto.

D: Poi, dopo la laurea,pur continuando a svolgere la professione hai insegnato per dieci anni Metodologia della Progettazione proprio all'ISIA di Firenze, e poi hai dato le dimissioni , cosa non ti convinceva più ?

R: Ah! questo fu proprio una sorpresa, visto che avevo cercato di imparare a fare lo studente e di imparare una professione , trovarmi di fronte a coetanei e dover trasmettere le mie informazioni nel ruolo di docente fu veramente emozionante e scioccante. Negli anni in cui ero studente avevamo cercato di modificare parte della struttura didattica che non ci convinceva pienamente, siamo negli anni del '68. Una volta cambiato il ruolo fui sorpreso , ma anche contento di poter divenire attore e stimolatore dei cambiamenti che chiedevano gli studenti, ma dopo anni di tentativi mi accorsi che alcune forze interne conservatrici non permettevano questo radicale cambiamento, cambiamento con cui chiedevo che la scuola , pur continuando la sperimentazione, si avvicinasse maggiormente al mondo reale con le sue problematiche tecniche , di produttività economica e marketing , senza perdere le finalità originali ideate da Pierluigi Spadolini.

D: Nel 1970 quando hai fondato lo STUDIO A.R.D.I.T.I. , con gli altri componenti del gruppo, avete adottato come proclama un manifesto realizzato da voi studenti, cosa volevate dire con quel manifesto?

R: Questo manifesto nasce nel 1968 da un gruppo di studenti del Corso Superiore di Disegno Industriale di Firenze. 1968: anni della contestazione, del capitalismo, del consumismo, delle guerre, delle baronie universitarie , dei beni di consumo indotti ; gli studenti di quegli anni si ponevano delle problematiche, tra cui l'essere addestrati per la società, ma quale società? Ci avevano detto che il ruolo del designer era quello di razionalizzare ed utilizzare i metodi di produzione per migliorare, tramite gli oggetti d'uso, le condizioni della vita abbassando i costi. Ma ci rendevamo conto che per il sistema intero non era così, in realtà tutto assomigliava più a Re Mida che intendeva trasformare tutto in oro fino a diventare vittima della propria cupidigia. Coscienti di ciò, quegli studenti tra cui il sottoscritto, vollero rendere noto con questo manifesto, attraverso giochi dialettici, critici e sarcastici, la loro presa di coscienza. Questo non significa rinunciare all'apprendimento, ma cercare di utilizzare i propri studi su canoni più concreti e razionali. Ecco quindi il proclama dove ci attribuiamo il ruolo di massima responsabilità nei confronti della società tutta, parafrasando e elencando oggetti dei "mostri sacri" del design , senza citarne il nome, ma descrivendo quegli oggetti e mischiandoli alle contraddizioni del sistema: dai "berretti verdi" a prodotti assurdi come le "macchine acchiappa-lucciole " , "macchine strappa lingue" , " assorbenti igienici per galline", e così via. Questa denuncia , non un rifiuto, non è altro che un proclama di ingenua onestà del nostro gruppo di studenti. Ingenui, ma oggi cosa accade? Oggi il sistema si contorce su se stesso con gli stessi elementi di 40 anni fa, ma con la fondamentale diversità che negli anni '70 riassorbiva tutto grazie al boom economico, adesso il sistema non sostiene più se stesso ed è per questo che il proclama degli studenti del '68 rende particolarmente odierno il sarcasmo di quel manifesto. Attualmente abbiamo il non-denaro ( carte di credito, fidi, ecc ) usato per il consumismo che è in uno stadio di saturazione assoluta e dimostra che il mercato ha necessità di beni reali e non fittizi. Il consumo deve essere collegato alla creatività ed alla produttività dell'uomo.

D: La tua produzione è molto eterogenea: qual è il metodo progettuale che ti permette di affrontare tipologie tanto diverse, come esempio un tappo per tetrapak e una lampada da tavolo?

R: Concentrazione, concentrazione sul problema acquisendo tutti i dati informativi del settore a cui compete l'oggetto progettato. Tempo, riflessioni, analisi funzionali e tecnologiche pensando sempre all'uomo come fruitore ed osservatore dell'oggetto che vai a progettare. Ricerca di tecnologie nuove e soluzioni alternative avvicinandosi a materiali magari fino ad allora non utilizzati.

D: Il design-art, i pezzi unici e semiartigianali, a metà strada fra arte e design, sembrano essere la nuova tendenza del settore. Tu cosa ne pensi? E' una contaminazione lecita?

R: E' una contaminazione giusta, fortemente giusta per rivalutare il design, per recuperare quello che nel '68 criticavamo nel manifesto, per far sì che un progetto parta da stimoli intellettuali e funzionali non dettati da precisa committenza. Elevare il ruolo del design a livello di spinta per la produzione che non sempre vede le finalità di migliorare l'oggetto e il suo uso, ma solo di fare profitti su di esso. Questo nuovo ruolo del design potrà ulteriormente svilupparsi creando un mercato di piccole serie che potrà far capire meglio la libertà intellettuale e politica della filosofia dell'oggetto.